Il vaio dei novalesi

Tutto iniziò l’anno scorso, in un fredda giornata primaverile, quando passeggiando con Francesca e Alepù, nei dintorni di Santa Giuliana, notai sul versante opposta della valle un sottile nastro bianco, identificai subito la montagna, era il Sassolongo del Campetto, uno dei posti dove le mie mani volevano poggiarsi da tempo, un progetto che però non si era ancora concretizzato; l’idea era di dare occhiata alle vie storiche tracciate sulla contrafforte N/E…l’idea estiva comunque ora non centrava.
Quel sottile nastro rotto in alcuni punti da evidenti salti rocciosi, mi catturò immediatamente, per fortuna avevo con me un piccolo cannocchiale, scrutai la perete e capii che forse il posto da cui guardavo era la sola angolazione da cui era possibile vedere frontalmente quella insenatura, dato che nella mia ricerca di nuove linee scalabili sulle Piccole non avevo ancora colto questa occasione…ormai la stagione era finita e anche le condizioni per provare la salita nel modo giusto, no c’era che da aspettare, un buon inverno!

Inverno 2008/09
Cosa meglio di questa stagione poteva favorire la salita?

Purtroppo dei problemi muscolari mi avevano tenuto fermo per quasi un mese e mezzo dall’inizio dell’anno, ma la riabilitazione stava funzionando e mi sentivo pronto per andare a fare un giro in montagna, del resto per fortuna, fino a quel momento la continua neve non aveva mai favorito delle condizioni stabili per affrontare qualcosa di duro sulle Piccole.
La penultima settimana di Febbraio sentii Carlo Lora, fedele compagno di alpinismo e cascate, sia sulle Piccole che fuori...decidemmo di sentirci il venerdì e di andare a fare qualcosa nel week-end.
Subito la mia mente nei ritagli di tempo si impegnò a scegliere l’itinerario giusto, mille pensieri mille possibilità (da ripetere), ma anche 2-3 miei progetti da realizzare, e forse fortunatamente ancora sconosciuti.
D’altra parte era la prima delle due ultime settimane fredde e la settimana prima aveva piovuto fino a 1500, che ora voleva dire manto nevoso estremamente compatto e ghiacciato in bassa quota, mentre già 2000 c’era ancora da stare attenti. Il Sassolongo perciò era il primo della lista, non ero più ritornato a vedere da vicino se la visone di quel giorno era concreta e la curiosità era tanta. Venerdì riuscii a liberarmi e andare a fare un sopraluogo nel pomeriggio con la macchina digitale, per vedere se esisteva o no la possibilità di salire quel fantomatico nastro bianco. Dalla Gabiola passo per i boschi a monte della pista da fondo alla ricerca di un alto punto di osservazione frontale rispetto all’insenatura.
Ci siamo, la parete sbuca pulita dai rami, la linea netta esiste, la parte bassa è stupendamente slavinata, un salto di 15-20 metri che avevo visto nella parte bassa è coperto, la parte difficile comincia molto in alto proprio nel fatidico camino, ma sopra sembra che la linea di neve prosegua più o meno fino in vetta. Faccio parecchie foto, molte con lo zoom al massimo, poi a casa sul monitor del PC mi chiarirò le idee sui vari passaggi; comunque si potrebbe tentare….

Alla sera il “si potrebbe tentare” lascia spazio al “proviamo ad andare a vedere”, chiamo Carlo:
- Senti che dici se domani proviamo ad andare a vedere …. - Lui, con la solita calma e disponibilità alle grandi imprese – certamente…Dovrà comunque essere anche una giornata tranquilla, per vedere com’è la forma fisica, partiamo con calma, ritrovo ore 6,30.

Racconto questo per far capire che sinceramente non avevo ancora chiaro cosa stavamo affrontando, l’unica cosa che avevo stimato esattamente era il dislivello, circa 500 m, ma la salita sarebbe stato molto diversa da quello che pensavo, molto più!

 

22-02-09

Ore 7 partiamo dal piazzale delle Casare Asnicar, zaino in spalle, materiale pronto alla volta del Sassolongo,
Carlo ha visto la parete solo in foto, io vedo la via di salità così: parte bassa fino al bivio abbastanza facile (40°) poi pendenze maggiori (50°/60°), segue camino molto duro con probabile ghiaccio in uscita (forse troppo difficile da superare, sicuramente il passaggio chiave) e se passato questo, la via continuerà con inclinazione costante più o meno a 60°/70° ma con grosse difficoltà per le protezioni dato che le masse nevose sono più abbondanti e c’è meno roccia.

Seguiamo a lato pista fino a malga Sebe poi su verso il Vaio della Porta verso il Contrafforte Nord, le condizioni sono favolose, già da subito risulta difficile senza ramponi anche solo camminare sui blocchi ghiacciati delle vecchie valanghe. Attacchiamo il canalone di base, dopo la prima parte a blocchi inzia il vero vaio, le pendenze sono fin da subito non banali (55°), e il canale è largo in alcuni punti solo un metro,stretto fra le rocce; proseguiamo slegati fino sotto il bivio, qui decidiamo di usare le corde, due vecchi chiodi da neve sono sufficienti per la prima sosta.
Parte Carlo, ha una lunghezza giusta per arrivare alla base dello sperone che fa da spartiacque nel vaio, noi dovremmo prendere poi a destra.
Un paio di chiodi da ghiaccio come protezione e dopo un po’ sento martellare, sta attrezzando la sosta. Io sono gia lì che studio il tiro successivo se qui è più difficile di quello che pensavo, lassù come sarà?...vedo il vaio che sale e si incunea fra le rocce, non si capisce; ma con sorpresa, vedo sbucare al centro in alto uno dei grandi monoliti che delimitano l’uscita del vaio, strano sembra già molto vicino.. pensai..
Raggiungo Carlo e salendo osservo il mio tiro ci sono due risalti, capisco che erano le due macchioline che si vedevano nella foto, ma ora sono ben altro, sono due massi incastrati nelle strettoie del vaio che vanno a formare dei veri e propri impennamenti nel canale.
Scambiato il materiale con il compagno, parto e… la salita si trasforma totalmente…
Il primo risalto è a 80°, attacco a destra dopo 4-5 m riesco ad entrare nella nicchia formata sotto il masso (non si riesce neanche a starci in piedi) metto un chiodo con un lungo cordone e ritorno all’esterno verso SX, ancora un paio di metri in su e ritorno su un cambio di pendenza a 50° sotto il secondo salto. Messa un vite da ghiaccio riparto, il canale ritorna sugli 80° nel salto ma stavolta poca neve, la striscia è troppo esigua e lunga, e non può tenere, bisognerebbe salire con i ramponi sulla roccia ma sicuramente senza poter mettere chiodi, la roccia è levigatissima. Per fortuna a destra il salto crea un’altra nicchia, stavolta con una esile colonna di ghiaccio che scende dal bordo dello strapiombo nel vuoto e si salda alla placca di destra, ecco la strada!.. lì ci può stare un chiodo da ghiaccio.
Prima entro nella nicchia, ancora più piccola del primo salto metto un chiodo, un attimo di pausa e sono pronto…la colata è verticale, finisce all’altezza del mio petto ed è alta un paio di metri, mi alzo un po’ con le piccozze sul ghiaccio e ramponi sulla parete di destra, riesco a poggiare la schiena sul masso dietro di me in una posizione “quasi comoda” e mettere la vite in alto dove poi il ghiaccio sparisce sotto la coltre nevosa del prossimo canale, ora non resta che salire..
Lascio la specie di diedro-camino afferrando le piccozze e inizio a mettere delicatamente i piedi sulla coda della colata, due tre movimenti e il quarto, decisivo, con il rampone sinistro in aderenza su una tacchetta sul bordo del tetto porto il destro al di sopra del ghiaccio, sono nel canale…

Che momento…, pensai tutto il tempo a quanto poco servano le braccia in passaggi come questo, anche perché nei primi due metri del canale la neve non era affatto buona e le piccozze non trovavano consistenza neanche in profondità, tutto stava sui piedi…

Il canale ripartiva, ma bisognava ora fare sosta, trovai un posto appena sopra, ma la roccia non era il massimo e persi molto tempo. Penso che solo per questo tratto e la sosta impiegai un ora e mezza!
Arrivò Carlo, trovo il secondo salto entusiasmante, stavamo facendo un buon lavoro ed ora toccava a lui, il canale continuava modesto e rettilineo per un altro tiro di corda e poi inevitabile, si vedeva la neve finire in una piega tra le rocce; fatto il tiro con disinvoltura, gli fu difficile fare una buona sosta, io impaziente attendevo con ansia di vedere dal suo punto di vista cosa ci sarebbe toccato, di vedere il passaggio chiave, era tutto possibile e la paura di trovare qualcosa di insuperabile era forte.

Non me ne resi conto subito, ma fu proprio così per quel giorno; dopo un breve tratto ripido il vaio moriva sotto al camino, non sembra vista la foto da sotto, ma il camino era completamente verticale per una trentina di metri ed era condito:

    1. in basso, all’attacco, da alcuni spuntoni di neve dura
    2. al centro da una grande massa strapiombante di neve (un  sicuro residuo di qualche grosso distacco)
    3. ai lati da roccia levigatissima e sicuramente inproteggibile
    4. e per finire, in alto da una grossa colata di ghiaccio che coronava l’uscita dal tetto.

La cosa non mi lasciò indifferente, capii subito che poteva essere affrontato ma con largo uso di chiodi e in artificiale, feci un paio di tentativi all’attacco, tutto sommato c’erano anche un paio di fessure da friends ma non osai provare a salire sulla prima cornice di neve; oltretutto la sosta dove era Carlo era al centro del vaio, inevitabilmente a tiro e toccare quelle masse di neve pensili avrebbe voluto dire giocare troppo con la nostra sicurezza.
Fui molto combattuto in quel momento fra il continuare e il desistere, giocò molto anche il fattore
fisico, i salti precendenti mi avevano già soddisfatto moltissimo, ma avevo usato parecchie energie, e non avevamo sicuramente i chiodi necessari per finire la salita, e capimmo poi, tanto meno il tempo; già infatti anche se il monolite di uscita sembrava appena lì sopra, guardando le foto che avevo portato, in realtà si vedeva che non eravamo neanche a metà del tratto sopra al bivio e per arrivare fin lì e chiodare i tiri e le soste, anche se senza fretta, ma avevamo impiegato quasi 6 ore.

Così il ritorno risultò l’unica via possibile, almeno per il momento e forse per chissà quanto se le condizioni del Vaio fossero peggiorate.
Ma in settimana mi chiamò Carlo, stava comprando dei chiodi e voleva qualche consiglio, dato che nella discesa avevamo riattrezzato tutte le doppie e abbandonato parecchio materiale, pensò di fare nuovamente scorta. Riparlando della salita, verso il fine settimana decidemmo che l’unica cosa da fare era ritornare…

02-02-09
Con un’ora di anticipo siamo all’avvicinamento, ora abbiamo anche le prime soste, ci leghiamo subito e procediamo spediti, anche il secondo salto, un po’ temuto,  non ha mutato le condizioni e creato problemi, e in 3 ore circa siamo alla base del repulsivo camino, (l’ultima sosta durante il ritiro era stata spostata fuori dal tiro dell’eventuali scariche del camino).
Tocca a me, scambio di materiali e via… incosciamente so già tutto, arrivo al camino attacco le piccozze al portamateriali, via i guanti si comincia ad arrampicare, alzandomi in spaccata riesco a mettere due friends, ora seguo le fessure sul lato destro ancora qualche movimento e sono già sulla prima cornice e…incredibile… il camino, che in alto sembrava dare la possibilità di essere superato all’interno dei massi incastrati, in realtà era solo l’uscita, il passaggio iniziava già dov’ero io, una specie di grotta, nascosta dal cono di slavinamento, entrava in salita dentro le pareti per 4-5 metri, l’interno era completamento ricoperto di verglass, arrivato sul fondo mi giro, un’altra facile placca ghiacciata riparte in direzione opposta e mi porta sopra la grande massa nevosa strapiombante, aggettante sul vaio, qualcosa dentro di me si accese, era fatta…ero su un ottimo punto di sosta, guardai su, un altro masso incastrato quasi sotto il tetto e superabile all’interno sarebbe stato la base per attaccare la cascata sospesa. Carlo mi raggiunge velocemente, scambio di materiali, ripassiamo le corde, parto io. Con un lungo cordone prendo al lazzo il masso incastrato mi assicuro e comincio a salire in opposizione, ancora senza piccozze, sono sul masso, un friends sotto il tetto rompo un paio di stalattiti sporgenti e fuori la testa..! Un diedrino grigio di roccia buona sparisce sotto una colata di ghiaccio, la cascata prosegue in alto per un paio di metri a 90° nascondendosi poi nel ripido canale, sotto di me il vuoto per trenta metri e giù il vaio…
Si può fare in qualche modo...pensai.
Aiutandomi con il friend metto un primo chiodo sulla parete di sinistra, non è buono, giusto forse il peso del corpo, scaricando un po’ di peso riesco ad alzarmi e restando in spaccata metto il secondo, questo tiene e dico a Carlo di bloccarmi, sono nel vuoto.
Bisogna valutare la seconda fase; il ghiaccio è ottimo metto un primo chiodo da ghiaccio, prendo le picche e mi alzo, ma la parete da una parte è strapiombante e non ho sostegno, ancora in spaccata lascio le picche piantate e ridiscendo, recupero e riparto, riesco ad allungarmi un po di più e metto un secondo chiodo da ghiaccio poco più di mezzo metro sopra, ora bisogna proprio andare pensai.. comincio a rimontare la colata e porto il piede destro sul ghiaccio, il sinistro fuori sulla roccia, ma la verticalità non diminuisce e il canalone non sembra essere da meno, un paio di movimenti e giù anche la terza vite, un momento di concentrazione e sono fuori…Non solo dal passaggio ma anche dal Vaio, pensai…; già, le pendenze diminuiscono, in alto vedo un grande masso, più o meno a un tiro di corda e subito dietro la cresta, pensai…ma non sarebbe stato proprio così.

Salgo ancora un po’ e faccio la sosta, naturalmente gli imprevisti succedono sempre, dopo due chiodi lunghi ma non completamente entrati, sento anziché un suono metallico, un tonfo secco, il martello si è rotto, pazzesco non mi era mai successo in tanti anni di scalate, il fido compagno delle mie creazioni (Lucifera, Edelweiss Express, La via del Coraggio), questa volta non aveva retto,
poi pensai a Carlo, oggi aveva preso anche il suo martello, ci aveva salvato andare avanti a chiodare solo con il martello della piccozza sarebbe stato molto arduo. Rinforzai la sosta con un nut e un friend e feci salire Carlo. Io ero stanchissimo, l’ultimo tiro mi aveva proprio asciugato, pensai di mandare avanti lui, almeno per mettere qualche chiodo poi magari avrei continuato io.
Il canale visto da sotto non sembrava così difficile c’erano due risalti, il primo lungo, su in un diedro leggermente appoggiato, il secondo corto ma verticale, con una colatina di ghiaccio.

In realtà, ancora una volta, la salita si realizzò molto diversa, Carlo sul primo salto dopo un chiodo da ghiaccio non riuscì a mettere neanche un chiodo. La roccia a destra era ottima ma non ammetteva chiodi, a sinistra era marcia e si levava a cubetti e fare tutto il salto senza protezioni  non sarebbe stato consigliato, in caso di caduta poteva essere troppo anche per la sosta. Lo feci ritornare indietro e riparti io.
Nello stesso punto riprovai a mettere un chiodo, ci voleva,  il canalino era 70° e l’uscita a 80°, dopo vari tentativi uno corto entrò, non era il massimo ma ebbi sicurezza per alzarmi ancora, poi un piccolo nut e attaccai deciso l’uscita.

Quando salgo una nuova linea il tempo diventa qualcosa di molto diverso, la mente pensa solo allo spazio, tutto ciò che conta è trovare il modo per far passare il nostro corpo, col minor sforzo possibile su quello che abbiamo davanti, tutto lì, il tempo corre ineserobile mentre noi siamo fermi a pensare, a studiare e a volte a fantasticare, in questi ambienti solitari e eterni, dove forse, pur essendo così vicini, mai nessuno aveva ancora messo piede, la sensazione è tremendamente forte e coinvolgente.
E fu cosi durante tutta la salita, ormai però cominciava ad essere tardi e la velocità cominciò a rientrare nei nostri pensieri, alle 14 eravamo solo sopra il camino.

Il secondo salto fu ancora più duro, con un paio di passaggi di misto verticale, arrivai finalmente al masso, era mastodontico, un ovale di 3 metri di larghezza a ponte sul vaio, che ripido gli passava sotto giusto per l’altezza di una persona; mi gira e vi piantai qualche chiodo per la sosta, la roccia era ottima. Guardai su, c’era un altro lunghezza per la cresta, con due opzioni, l’uscita vista dal basso era a sinistra, ancora in parete, mentre a destra come speravo perchè non si vedeva dal basso, un canale abbastanza facile andava in cresta.
Arrivò Carlo, ormai sentivamo la vetta vicina ma anche l’ora tarda, e la discesa non ci era ancora ben chiara, l’idea era quella di traversare in direzione del versante S/O, continuare fino al Passo della Porta e poi giù per il Vaio. Dovevamo fare in fretta. Salii a sinistra per dare un’occhiata, rimontai il masso e provai a risalire il pendio, sara stato a 70°, ma nessuna possibilità di protezione e neve marcia, sprofondavo fino polpaccio, no! Il cumulo dava veramente una sensazione di istabilità, bisogna cambiare, ma traversare a destra sopra la sosta, Carlo e quell’imbuto che li conteneva e che spariva giù sotto  il masso nel vaio, era poco appetibile; resta il ponte.., la sua cresta di neve era molto affilata e instabile, non mi fidavo a passarci sopra come un equilibrista magari a braccia larghe e le picche in mano, anche perché a destra c’era il mio compagno e a sinistra il vuoto.
Ci pensai un attimo e forse riuscii a stupire  un po’ Carlo quella volta, mi abbassai e mi sedetti a cavalcioni del sasso e lo passai trascinandomi con le mani e il sedere per tutta la lunghezza spostando anche la neve; la manovra fu molto lesta e in un attimo mi ritrovai sul pendio opposto, anche qui la neve non era buona ma dopo i primi metri la pendenza diminuiva e il vaio cominciava a stringersi fra le ultime rocce poi su senza cornici fino e finalmente al cielo.
Ed eccoci dopo un chiodo da roccia, qualche friends e il primo mugo, presenza così felice, sbucai leggero in cresta.

La felicità fu solo momentanea, il pensiero per la splendida ed ineguagliabile avventura non poteva ancora avere il sopravvento, ero entusiasta ma non potevo e non riuscivo a dimostrarmelo; lo sguardo andò subito su verso il Carega e poi il Pasubio, il sole era calato, le vette leggermente illuminate ma appena sotto una nebbia scura avvolgeva la bassa valle, giù stava gia arrivando l’oscurità…
Ce l’avevamo fatta…! Ma bisognava anche scendere.
Lì vicino trovai un grosso arbusto, quando arrivo Carlo erano già quasi le 18, dopo un’attenta osservazione decidemmo che non valeva la pena andare in cerca di una strada facile per scendere;
dopo alcuni salti rocciosi il pendio sotto di noi diventava un vaio che giù sembrava quasi raccordarsi con quello della Porta, per fortuna c’erano dei radi arbusti e decidemmo che le doppie su quel versante sarebbero state l’ultimo sforzo della giornata..

La luce cominciò a fievolire e il nostro animo a rallegrarsi; eravamo stanchi e felici; anche se fu lunga e arrivammo in macchina con il buio, il resto della discesa fu un susseguirsi di commenti entusiasti della scalata, tra vari telefoni che squillavano, corde che si attorcigliavano nel buio e metri e metri di neve da calpestare; gli amici ci aspettavano per cene varie e i genitori attendevano notizie, la civiltà era dietro l’angolo; ci rendemmo conto che il sogno stava terminando, la vita normale si avvicinava ed eravamo felici di ritornare con una grande storia da raccontare, con un segno indelebile su quella vetta e quel gran bel nome in testa, il Sassolongo del Campetto..

 

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